venerdì | 26 Luglio | 2024

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Sindrome del colon irritabile. Come combatterla

Sindrome del Colon Irritabile è un disturbo funzionale che riguarda più del 15% circa della popolazione occidentale, anche se è un valore sottostimato perché molte persone convivono con sintomatologie correlate a questa sindrome ma della quale ignorano l’esistenza perché mai recatisi da uno specialista per poterne fare una diagnosi accurata.

E’ una malattia che insorge in giovane età e ne è affetta principalmente la popolazione femminile; ciò è facilmente comprensibile se si considera la parte emotiva come fattore predisponente a cui contribuiscono stress, ansia, preoccupazione, e le donne sono più suscettibili alla somatizzazione. Insorgendo presto, incide sulla popolazione produttiva; tende ad avere un’eziologia avanzata nell’arco dell’esistenza andando a compromettere le persone che hanno età compresa fra i 15-18 anni fino ai 60-65 anni. Così, pur non essendo una malattia mortale è particolarmente invalidante perché i sintomi che accompagnano questa malattia possono rendere particolarmente difficile la vita quotidiana, la vita lavorativa e costituire un problema. 

E’ definita sindrome perché è la concomitanza di una serie di disturbi correlati anche a diversi organi che possono dare tante tipologie di sintomi per cui non può essere diagnosticata in modo preciso. Per questo motivo si rende particolarmente difficile l’approccio terapeutico. Inizialmente si procede con una diagnosi ad esclusione, accantonando le condizioni che possono essere legate a un’infiammazione intestinale attraverso dei semplici esami biochimici per scartare la celiachia, il morbo di Crohn, la colite ulcerosa, una malattia diverticolare, intolleranza al lattosio e/o al glutine; esami che danno tutti una certezza nella diagnosi. Per cui, scartate queste malattie organiche si può ipotizzare la sindrome del colon irritabile. A causa della sua caratteristica sintomatologica è parecchio complesso diagnosticare l’IBS e dev’essere trattata come multifattoriale seppur personalizzata perché dai sintomi alla terapia dev’essere trattato tutto per il singolo individuo.

Comunque, la diagnosi si basa sui sintomi con criteri classificativi specifici detti “Criteri di Roma” in base ai quali ci può essere un sospetto di intestino irritabile in presenza di dolore addominale ricorrente per almeno un giorno a settimana negli ultimi tre mesi, con due o più criteri correlati a: la defecazione, un cambiamento della frequenza della defecazione con  alvo alterno che si manifesta con alternanza di stipsi e diarrea, o prevalenza dell’una o prevalenza dell’altra; un cambiamento della forma (aspetto) delle feci. Altri sintomi principali sono: intensi crampi addominali e il tenesmo, ossia spasmo dello sfintere anale o di quello vescicale accompagnato da stimolo all’evacuazione anche senza emissione di materiale con conseguente sensazione di mancato svuotamento completo. 

E’ importante che la variegata tipologia sintomatologica non sia episodica, né temporanei perché potrebbero essere riconducibili all’assunzione di cibo avariato, o al manifestarsi di gastriti o coliti stagionali che sono frequenti. Per cui per diagnosticare IBS, è necessario che i sintomi siano frequenti e presenti per un periodo piuttosto lungo durante l’anno. 

Nella genesi della sindrome del colon irritabile sono comprese differenti concause che possono essere legate al SNC; infatti si parla spesso di un “gap” del meccanismo di comunicazione tra il sistema nervoso centrale e i muscoli dell’intestino (l’asse cervello-intestino), con alterazioni dei normali riflessi motori e sensitivi agli stimoli viscerali. Fra di essi esiste un asse bidirezionale che permette loro di collaborare; però, se è possibile avere una volontarietà sul cervello attraverso il quale si può decidere di cantare, ballare, scrivere, stesso approccio non è possibile sull’intestino infatti la digestione, lo smistamento e assorbimento dei nutrienti sono tutte azioni decise e avviate arbitrariamente dall’intestino stesso. 

Incide anche in parte la genetica in coloro i quali sono predisposti, infatti, stress e ansia possono far insorgere queste alterazioni dell’attività viscerale e, di conseguenza, anche della motilità perché “parlano” attraverso gli stessi neurotrasmettitori. Attuano un meccanismo di comunicazione attraverso dei neuromodulatori che, in condizioni alterate, vengono liberati in circolo e trovano a livello dell’intestino i recettori che devono legare e, quindi, si determinano le alterazioni di motilità e così la comparsa dei sintomi.

Le cause sono da ricercare nella cattiva alimentazione, stress, predisposizione familiare, malattie psicosomatiche, ma il fattore maggiormente incisivo è la cattiva comunicazione fra intestino e cervello. Noi interveniamo solo seguendo una dieta corretta per indirizzare e migliorare il lavoro intestinale. 

Sul processo digestivo incidono anche le componenti emotive quali stress quotidiano, lievi depressioni; la dieta e/o lo stile di vita sregolati che stimolano, seppur in modo lieve, il sistema immunitario.

L’80% delle cellule immunitarie sono prodotte dall’intestino e ciò è comprensibile se pensiamo che durante la giornata ingeriamo cibo e con esso anche sostanze potenzialmente dannose; così, l’intestino in associazione col sistema immunitario assolve al suo compito di digestione, assorbimento e smistamento dei nutrienti. Quando per un qualsiasi motivo questi processi non avvengono correttamente, si ha l’attivazione del sistema immunitario determinando la permeabilità intestinale. Le cellule dell’intestino normo-funzionanti si presentano tutte vicine e serrate fra loro. Vi sono poi dei casi in cui si creano delle “aperture” attraverso le quali, parti di cibo, materiale non digerito e anche parti del microbiota vengono liberate nel circolo sanguigno dove, in realtà, non dovrebbero essere presenti. E’ per questo che si crea una risposta a qualcosa che riconosce come antigene, innescando le reazioni per contrare sostanze che vengono riconosciute come non idonee attivando, così, la risposta del sistema immunitario.

Questi piccoli frammenti (gli antigeni) vanno ad attivare anche zone che sono fisicamente lontane da dove ha genesi il problema. Questo stato di allerta innescato ha influenza negativa perché l’infiammazione per attivazione del sistema immunitario, di per sé è un’ottima risposta del sistema immunitario, ma dev’essere acuta perché così serve a protezione del corpo. Un’attivazione cronica, determina una continua attivazione: dei globuli bianchi, della permeabilità intestinale e di conseguenza una lotta continua delle cellule del sistema immunitario.

Così, se si seguisse uno stile di vita sano e corretto, (senza fumare, facendo attività fisica, dormire regolarmente e stare lontani dagli stress), la dieta corretta giova perché l’intestino deve assolvere solo al suo primo lavoro quale è la digestione degli alimenti. 

Ciò che viene normalmente consigliato per fronteggiare la sindrome è la dieta LOW FODMAP. I FODMAP sono zuccheri fermentanti che possono esacerbare i sintomi dei disturbi intestinali. Possono essere oligosaccaridi, polisaccaridi, fra i quali i più irritanti sono fruttosio, lattosio, fruttani, xilitolo (un poliolio usato spesso nei dolci e nei prodotti industriali), che hanno un alto potere fermentante. La fermentazione (che deriva dal latino “fermĕntum “ che significa “lievitare”) per definizione è un processo in cui, nel caso dei nutrienti, il cibo lievita nello stomaco durante la digestione e ciò richiama acqua. Di conseguenza lo stomaco e l’intestino dovranno dilatarsi (gonfiore) , creando spasmi, in alcuni casi anche feci liquide e tensione addominale. Essa prevede la parziale o anche completa eliminazione di alcuni alimenti contenenti zuccheri e carboidrati non digeribili altamente fermentabili capaci di determinare l’insorgenza dei tipici sintomi. Per cui, attraverso la dieta con eliminazione di certi alimenti è possibile tenere più a bada i sintomi. Di contro, nelle forme in cui è presente la stipsi, la dieta FODMAP non è indicata.

I FODMAP sono contenuti in molti alimenti; tra la frutta si annovera albicocca, anguria, avocado, cachi, nespola; anacardi e pistacchi tra quella secca; fra gli ortaggi l’aglio, asparagi, bietole rosse, carciofi; fra i cereali kamut, orzo, grano e segale; fra la carne spicca la salsiccia; la maggior parte dei legumi secchi; il late e i suoi derivati, compresi yogurt e kefir; miele, melassa e sciroppo d’agave; e tutte le bevande zuccherine.

Da quest’osservazione è facile intuire che seguire una dieta povera di FODMAP non è semplice perché sono presenti in quasi tutti gli alimenti. Per cui è bene, nel momento in cui si decide di seguire questo tipo di dieta, iniziare per un mese in modo molto rigoroso riducendo parecchio la presenza di FODMAP, l’optimum sarebbe tre mesi. Dopo questo mese di riduzione drastica, si inizia a reinserire gradatamente alcuni alimenti che risultano più tollerati dal corpo e che risultano meno invasivi, per osservare se si ha una riacutizzazione dei sintomi.

Una terapia molto utile è quella che prevede l’assunzione di fermenti lattici; anche la loro scelta dev’essere oculata perché vi possono essere presenti inulina o maltodestrine, anch’esse sono zuccheri parzialmente digeribili per cui potrebbero non essere d’aiuto; in alcuni casi, quindi è meglio scegliere un fermento lattico puro che appartenga al ceppo adeguato.

E’ bene bere 1,5 -2 litri di acqua al giorno sia nel caso di stipsi in cui l’acqua agevola il transito, sia nel caso di diarrea per recuperare i liquidi persi. Nel caso in cui non si riesce a bere acqua semplice, vanno bene anche le tisane di finocchio che aiuta a eliminare i gas; la camomilla che aiuta a rilassare la muscolatura gastrica.

Altro composto che può venire in soccorso è zeolite, un minerale ricco in silicati che, a livello intestinale, agisce con uno scambio cationico permettendo di modulare la permeabilità delle cellule con conseguente effetto benefico sull’attività cellulare alleviando il carico inquinante formato da tossine che possono entrare nel corpo anche attraverso la respirazione. 

Dott.ssa Mimma Capitummino

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