Il 25 marzo di ogni anno si celebra la Giornata internazionale in ricordo delle vittime della schiavitù. Un’occasione per riflettere su come lo sfruttamento umano ha segnato la storia, anche quella della Sicilia. Nell’Isola i Carusi, bambini e adolescenti, erano infatti costretti a lavorare nelle miniere di zolfo in condizioni di semi-schiavitù tra il XIX e il XX secolo. Una vicenda poco conosciuta ma drammatica, che è stata documentata in letteratura e nell’arte da autori e artisti che hanno voluto denunciare le sofferenze dei piccoli lavoratori. Tra questi spiccano Giovanni Verga, che ne scrisse con uno stile realistico e crudo, e Onofrio Tomaselli, che immortalò il loro dolore attraverso la pittura.
I Carusi nelle miniere di zolfo: una forma di schiavitù moderna
Il termine Caruso deriva dal latino carus, che significa “caro”, ma in Sicilia ha assunto nel tempo il significato di ragazzo, in particolare con riferimento ai bambini impiegati nelle miniere. Questi giovani lavoratori erano spesso figli di famiglie povere, venduti dai genitori ai proprietari delle miniere attraverso un sistema chiamato “soccorso morto”: il minatore adulto riceveva un anticipo di denaro in cambio dell’impegno di far lavorare il ragazzo.
Le condizioni in cui i Carusi operavano erano spaventose: lavoravano fino a 14 ore al giorno in gallerie buie e anguste, trasportando sulle spalle carichi di zolfo di 20-30 kg, spesso scalzi e a torso nudo per il caldo soffocante. Respiravano esalazioni tossiche che causavano in molti casi malattie polmonari e deformazioni ossee. Erano, inoltre, sottoposti a violenze fisiche e psicologiche, spesso puniti brutalmente dai picconieri adulti.
Questa forma di sfruttamento andò avanti, in alcune zone, fino agli anni ‘50 del Novecento, quando le miniere iniziarono a chiudere e le leggi sulla tutela del lavoro minorile divennero più rigide.

Giovanni Verga e la denuncia sociale ne “I Carusi“
Giovanni Verga, scrittore verista noto per il suo sguardo impietoso sulla realtà siciliana, affrontò il tema dei Carusi nel reportage giornalistico “I Carusi“, pubblicato nel 1878. In quest’opera, scritta dopo un viaggio nelle miniere di zolfo, l’autore descrive con crudo realismo le condizioni dei bambini a lavoro, paragonandoli a schiavi moderni:
Questi poveri ragazzi, ridotti a pura macchina, con un solo pensiero nella testa: il peso da portare, il padrone che aspetta, la paura di non farcela
Verga si soffermò sulla tragica assenza di alternative: le famiglie, per sopravvivere, non avevano altra scelta, se non quella di cedere i propri figli in cambio di denaro. Il testo è una denuncia sociale che si inserisce perfettamente nella poetica verista, in cui l’uomo è vittima di un destino ineluttabile, proprio come accade ai protagonisti di Rosso Malpelo o I Malavoglia.
Nel racconto Rosso Malpelo (1878), l’autore affronta poi il tema della durezza della vita mineraria attraverso la storia di un ragazzo emarginato e maltrattato, che lavora in miniera e finisce per accettare la violenza come unica realtà possibile. Anche qui, l’idea di un’ingiustizia radicata nella società emerge con forza: nessuno si ribella, perché lo sfruttamento è considerato naturale.

Onofrio Tomaselli e la pittura come denuncia sociale
Accanto alla letteratura, l’arte ha svolto un ruolo fondamentale nel tramandare la memoria dei Carusi. Uno degli artisti più significativi in questo senso è Onofrio Tomaselli (1866-1956), pittore palermitano che ha dedicato parte della sua produzione alla rappresentazione della vita nelle miniere di zolfo. Le sue opere offrono una testimonianza visiva intensa e drammatica, con immagini di bambini dallo sguardo spento, corpi piegati dalla fatica e ambientazioni opprimenti.
Nei suoi quadri, Onofrio Tomaselli non si limita a una semplice rappresentazione realistica, ma trasmette un forte senso di denuncia sociale, evidenziando il contrasto tra l’innocenza dell’infanzia e la brutalità del lavoro forzato. Le sue opere sono oggi conservate in diversi musei siciliani, tra cui la GAM di Palermo, e rappresentano una memoria visiva potente del dramma dei Carusi.

La memoria dei Carusi oggi: tra storia e impegno sociale
Oggi, il ricordo dei Carusi è mantenuto vivo attraverso iniziative culturali, mostre e studi storici. In Sicilia, alcune vecchie miniere sono state trasformate in musei, come il Museo delle Solfare di Trabia-Tallarita, che conserva testimonianze della vita dei minatori, compresi i bambini sfruttati. Inoltre, la letteratura e l’arte continuano a ispirare nuove forme di narrazione su questo tema, sottolineando come lo sfruttamento minorile, sebbene in forme diverse, sia ancora oggi una piaga in molte parti del mondo.